22-06-2017 Giuseppe Giordano

riceviamo e pubblichiamo volentieri:

Impressioni sul romanzo Santa Ilde di Porta Palazzo

Ilde è un personaggio ai margini: dell’identità sessuale, della società, della città in cui vive; popola e rappresenta con la sua particolarità (sfregio o segno di elezione naturale?) la periferia dell’anima e dei sensi dividendo con altri soggetti ibridi e canaglieschi una vita marginale e risicata, fatta di avanzi. Teppisti, zingari, sfruttatori, prostitute, poveri diavoli si accompagnano, si combattono, si prendono e si lasciano nella dura guerra dei giorni per sopravvivere e sopraffarsi. L’autore si addentra a conoscere un mondo che, appena ci sfiora, ci fa rinserrare nel cappotto delle nostre buone abitudini, frequentazioni e discendenze. Ma mentre noi ci rassicuriamo di non farne parte, troviamo una valida ragione per incuriosirci e continuare a leggere. La scrittura è realistica, le morbosità descritte mettono a nudo la nostra morbosità di spiarle. Le esplorazioni del sottobosco sociale nelle sue superstizioni, credenze ed espedienti sono interessanti anche dal punto di vista linguistico. Il romanzo è attuale e attesta un’osservazione tutt’altro che superficiale  della suburra torinese. La protagonista è tremula, esposta, incline a compiacere i persecutori e ad innamorarsi; dai suoi tarocchi si affaccia nella vita di altri disperati o presagisce e interpreta maldestramente eventi per sé. La sua calda umanità e la sua umiltà la rendono capace di sperare e di dare, salvandola ai nostri occhi; ci affezioniamo a Ilde perché la sua natura la fa appartenere alle creature sognanti e generose che dagli errori non imparano molto.

Valeria Amerano